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TESTI RIGUARDANTI LA RELIGIONE
 

SOMMARIO

 

1 - Giancarlo Vietri - Il Dio dell’ateo

2 - Paolo di Tarso - Prima lettera a Timoteo

 

 

1 - Giancarlo Vietri - IL DIO DELL’ATEO

  

65 CONSIDERAZIONI SU DIO CON AGGIUNTA DI VERSI BLASFEMI

AVENDO TROVATO LA RISPOSTA ALL’ANTICO DILEMMA DELL’ESISTENZA DI DIO, MI SEMBRA GIUSTO

LASCIARNE TRACCIA

 

1

 A chi ne ha il dono, invidio la religiosità. Non la devozione di comodo, ma la consapevolezza del mistero.
 

2

INTERVISTA

-         Cosa pensa dell’ateismo?

-         Che sarebbe un non senso, se qualcosa potesse non avere senso.

-         Crede allora nell’esistenza di Dio?

-         Qualunque cosa abbia un nome, esiste…

-         Che intende dire?

-         Che la parola è la forma dell’esperienza, o anche che il linguaggio è la sede della coscienza. 

-         Tutto ciò che viene detto, in altri termini, esiste, perché riflette l’esperienza…

-         Sì, Dio come qualunque altra cosa di cui si parli, compreso il suo contrario.

-         Non capisco. Parla di un’esistenza reale o chiusa in un circuito della mente?

-         Ma quello che la mente si raffigura è sempre reale, o per lo meno è l’unica realtà di cui abbiamo cognizione. Che poi la realtà dell’uno diverga da quella dell’altro e che si creino così dei mondi separati o non sempre sovrapponibili, è un altro discorso. Ciò a cui io do un nome non ha necessariamente significato per lei, men che meno lo stesso significato, è tuttavia un frammento del mondo quale io me lo raffiguro. È anche vero che, nel nominare le cose, prendo a prestito il linguaggio di tutti, e con ciò anche dei significati che non mi appartengono; succede allora che attraverso la parola io neghi in parte la mia rappresentazione: la sacrifico, ne immolo qualche pezzo sull’altare della collettività. Nel Dio di cui parlo confluiscono aspetti che sfuggono al mio controllo. Ma un concetto è come un cappello sotto cui non puoi non trovare una testa.

-         Il linguaggio diventa così la culla della verità. Non è la teoria di Heidegger sulla parola come “casa dell’essere”?

-         Heidegger era un mistico e il suo misticismo si riflette in una terminologia di stampo spirituale; ad ogni modo sì, la mia idea è che la parola sia la “casa dell’essere”. Solo che l’essere in questo caso coincide con l’individualità, coi suoi connotati razionali, emotivi, sensibili… è una dimensione personale, non un’unità sovraordinata, anche se interagisce con le nicchie degli altri, così che alla fine ciascuno è la casa del suo proprio essere. L’essere è un dato soggettivo, sia pure condivisibile.

-         Tornando a Dio…

-        Tornando a Dio, Dio esiste per buona parte di noi. Non si sa bene cosa sia, ma è comunque qualcosa, se viene chiamato per nome. E chi non lo chiama così, lo chiamerà in altro modo.

-         O non lo chiama affatto.

-        O non lo chiama affatto, perché esula dalle sue percezioni e scorre magari nei fondali della coscienza senza prendere forma e suono.

-         Esiste allora anche il diavolo, se trova posto nel linguaggio!

-        Certo che sì. Esiste per chi lo teme o lo invoca. È il nome del male o comunque di una negatività che la nostra epoca tutta volta al positivo ha lasciato cadere in disgrazia. Per qualcuno il diavolo ha ancora tratti medievali, agita il forcone e puzza di zolfo, ma per i più è ormai una specie di macchietta, una creatura fantastica buona per le barzellette, simile alla Befana e a Babbo Natale. Perché ciò che esiste in un tempo non è detto che esista per sempre.

-         In questo modo non ci sono verità stabili. Tutto è in movimento, tutto è precario.

-         La precarietà è un concetto relativo, perché è relativo il concetto di stabilità: stabile non è ciò che dura in eterno, ma ciò che ha una notevole durata. E comunque effettivamente è così: la verità non è un dato immutabile; cambia da individuo a individuo, da epoca a epoca, da cultura a cultura. Questo vale per Dio, per il diavolo e per qualunque altra cosa sia prodotta dalla nostra mente.
 

3

Non si può ignorare ciò che preme ai confini della coscienza. Tutto quello che turba l’intelletto suggerendo la presenza di un’incognita deve avere un profilo e un nome, pazienza se attinti dall’immaginazione. Da questo punto di vista siamo simili a ogni altra creatura: persino nella mente di un insetto, tutto quello che importa ha una forma definita.
 

4

Meglio chiamare certe cose “Dio”, nome di fantasia, che non chiamarle affatto.

È così possibile esplorare una parte della nostra complessità, di cui, corazzati solo di razionalità, non sospetteremmo neppure l’esistenza.
 

5

Sotto i suoi tanti volti, mutanti con i tempi, i luoghi e le persone, Dio è l’estensione del sé, insinuazione nel tutto, un’espansione che penetra l’universo, dilatazione infinita che si realizza non solo tra le spire della religione, ma anche lungo i sentieri della poesia o quelli di qualunque altra prassi, strumento o disciplina ci presentino la nostra esistenza come un frammento dell’universale, trasmettendoci il senso della nostra eternità insieme a quello della nostra finitezza.

L’estensione del sé che si insinua nel tutto è la divinizzazione della realtà alla portata di ciascuno.
 

6

Nella tensione che ci proietta verso l’infinito, Dio diventa la traduzione cosmica dell’amore, di quell’amore incondizionato che, attraversandoci, ci rende unici e, ritraendosi, ci abbandona al turbine del mondo.
 

7

La verità si nasconde sotto gli abiti più vari, quelli del Figlio dell’Uomo, ma anche quelli di Budda, di una qualunque trimurti o del mio stesso ateismo.
 

8

Il fatto che i nomi delle cose nascano dall’esperienza –e il nome di Dio non fa eccezione- ci rende simili gli uni agli altri: se un cattolico parla di Dio, non si riferisce solo a un vecchio col barbone, assiso su un trono di luce tra una colomba e un giovane predicatore. Parla sicuramente anche di un angolo di mondo che io stesso ho visitato, salvo ad averlo chiamato diversamente.
 

9

La teologia cristiana non è meno zeppa di ingenuità di una credenza tribale, ma nemmeno più arbitraria, né di questa né di tutto il resto.
 

 10

“Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”, dice il profeta spezzando il pane, “Prendete e bevete, questo è il mio sangue”, prosegue alzando il calice. E la dottrina nata dalle sue parole insegna come mangiare e bere indegnamente il pane e il vino della cena (o l’ostia che li rappresenta) sia un oltraggio alla sua carne e al suo sangue martoriato.

Gesù sarà pure frutto di un sogno, come lo sono una divinità dell’Olimpo o un feticcio africano. Il corpo e il sangue immolati per la salvezza comune sono però l’emblema di un amore supremo. E, nell’idea del pasto indegno che lo offende, io ritrovo l’orrore della contaminazione, anche a me così familiare.
 

11

Quando, per raccontare l’ineffabile, lo abbassiamo alla nostra portata, ritoccandolo un po’, sacrificandolo in parte, perché la sua grandezza non ci travolga, e lo riduciamo a un barlume d’emozione, a una pallida intuizione, siamo forse diversi da Gedeone, che temette di morire davanti alla luce di Dio, per non poterne sostenere lo splendore, finché Dio non lo tranquillizzò, spiegando d’essergli apparso “nella sua realtà rivolta all’uomo, non nella sua realtà in sé”?

Lo sgomento di Gedeone e le rassicurazioni del suo Dio ricordano come la mente umana abbia bisogno di limiti e non sopporti l’interezza.
 

12

Parlare con Dio? Perché dovrei irridere a un simile uso? Imprechiamo contro un motore che non s’avvia e nei momenti di rabbia prendiamo a calci le sedie, come fossero le nostre più acerrime nemiche. Il più incallito dei materialisti non si vergognerebbe di farlo. Dialoghiamo continuamente con frotte di spiriti naturali del cui passaggio non nutriamo il minimo dubbio. Tra di loro nessuno come Dio ha sollevato tante dispute intorno alla realtà della sua esistenza.
 

13

Nel demonio si incarna l’animo depredato, spogliato dell’amore, colpito da una cecità che si ripercuote in un ringhio rabbioso (il male è in effetti il frutto di una privazione, una via collaterale imboccata dal bene quando il cammino è ostruito).

Ma la figura orripilante del demonio ha anche una sua utilità: rinforza l’idea che la sciagura derivi dalla colpa, una manna, nella difficoltà di ammettere la rovina senza il peccato. Il peccato giustifica i rovesci della sorte e li consola: ritenersi causa della propria disgrazia è più accettabile che riconoscersi vittime degli altri o del caso, entità che sfuggono al nostro controllo. La colpa è in fondo un residuo di onnipotenza, un relitto dell’illusione di esercitare sul mondo un dominio incontrastato.

E certo va scontata. Che però sia il demonio a gestire l’espiazione, nel fragore sinistro della sua corte disastrata, è quanto meno singolare. Lui, l’Anticristo, cui è stata negata la visione di Amore per un vizio di superbia, proprio lui, si accanisce sui poveretti che, inseguendo maldestramente l’amore, si sono smarriti in mille deviazioni inconcludenti! Si allea con Colui che lo ha bandito dai cieli dove tutto è grazioso, per precipitarlo nel regno dell’orrore; si mette al servizio del suo Antagonista per adempiere in nome Suo al compito di rendere indigesta l’eternità alle anime dannate! Anziché stringere con loro un patto solidale!

La scelta dei ruoli è d’altra parte obbligata. È inconcepibile che i tormenti siano inflitti dal Padre Celeste, dal benemerito Figliolo, dalla Madre di Lui o dalle Schiere raggianti di angeli e santi, con le loro abitudini di esseri pietosi. Gli spiriti positivi gozzoviglino dunque liberamente nel loro tripudio, lasciando a quelli degli abissi l’affanno impuro di somministrare castighi. Dio non si sporca le mani!
 

14 

Due mosche parlarono di Dio.

“Zzzzzzz – zz – zzz”, fece la prima.

“Zzz – zzzz – zz – zzzz”, ebbe da ridire la seconda.

Alla fine però furono d’accordo, e certe di essere nel vero.
 

15

Quando decanto l’esperienza religiosa, fuori della capziosità dei catechismi, mi abbandono spesso a discorsi complicati sulla nostra collocazione nell’universo e sul significato della vita.

È un po’ poco, però, ridurre a questo lo stimolo che ci mette sulle tracce di Dio. Bisognerebbe piuttosto parlare di un sentimento che salda la nostra evanescenza alla imperturbabile immanenza del Tutto. È la confluenza nel Tutto il senso ultimo dell’esperienza religiosa, una latitudine cosmologica che fa parte del cuore e che dobbiamo riscoprire per superare l’idea della morte e il sapore della solitudine.

Poco importa se, oltre la nicchia dell’io, troviamo un Dio tradizionale o il ruminare immenso delle leggi della fisica che macinano le nostre persone per riavvolgerle nel plasma universale. Conta solo che nella coscienza possa vibrare la corda capace di congiungere la fragile sfoglia della nostra esistenza con l’infinito.
 

16

Dio è una stanza dell’anima, quella nella quale la nota personale si accorda alla vibrazione cosmica. Se manca questa sintonia, la vita precipita in un’incommensurabile desolazione. Ogni incontro e solidarietà con gli altri avvengono in fondo sotto lo sguardo di Dio, che ci spinge a varcare il limite individuale. Persino l’atto sessuale, che altrimenti degrada a un’incursione clandestina.
 

17

Tarocchi e fondi di caffè, Bibbia e Corano, Dianetica e unguenti portentosi, la terapia degli schiaffi e quella del turpiloquio, contemplazione e ascesi, impacchi di argilla e cura del sonno o l’ineccepibile sistema di guardare fisso un quadro attaccato alla parete per mezz’ora filata. Ogni divinazione, fede o pratica miracolosa vanta ottimi risultati. L’esercito di santi, veggenti e guaritori si snoda attraverso i secoli, ognuno con la soluzione in tasca, che gli altri ignorano.

Se in parte mi compiaccio di non prendere parte a tante ingenue imprese, dall’altra recrimino di non saper salire sul loro carrozzone, mescolandomi ai miti comuni, imbarcandomi su rozzi zatteroni che bene o male permettono la traversata. O il mio zatterone ce l’ho, ed è quello dal quale contemplo divertito le bizzarre certezze della fantasia umana.
 

18

Il mio nuovo vicino studia teologia. Non mi ispira particolare simpatia: ha una faccia troppo pulita e il candore di chi crede nell’infallibilità di un principio, una fiducia vicina al fanatismo. Gli invidio però la capacità di rimettere il suo destino nelle mani di un’entità esterna, io minato da un’eterna diffidenza.
 

19

Credo fermamente nell’esistenza di Dio. Un Dio inteso come un principio superiore, inventato da noi, che ci distoglie dal nostro orizzonte mortale garantendo alla farina delle nostre molecole di esalare in una nuvola cosmica.

Dio è un metabolismo soggettivo come il dolore o la sessualità, una modanatura della psiche che ci riguarda tutti, oggettivamente.
 

20

Dio è una dimensione dell’io.
 

21

Due figure alte come colossi, e dal vertice delle tonache spuntano due testoline da paguro. Possibile ci siano ancora di questi personaggi, creature che girano tra noi, uscite di fresco da credenze misteriche, da pratiche magiche e ritualità che si direbbero perse in lontananze tribali?

È possibile, e non c’è da meravigliarsi: di superstizione sono piene le vie.

Ogni cosa ci appare in effetti diversa da come è. Il mondo intero raggiunge il nostro intelletto attraverso filtri speciali che ne deformano i contorni e rendono vivo ciò che è inanimato vestendolo di luci benigne o maligne, tingendolo di buona e di cattiva sorte. I tram che sferragliano chiassosi, le vetrine scintillanti, le poltrone alle quali affidiamo la nostra spossatezza, i mobili che ci rassicurano con parvenze familiari, tutto parla alla nostra anima ed esercita su di noi poteri straordinari, non meno dei crocefissi e delle eucarestie.

Anche un ateo vive di sortilegi. Gli oggetti si imbevono delle nostre attese e delle nostre emozioni e ce le restituiscono come immagini riflesse. Il nostro spirito permea di sé le chiese e gli stadi, le sacrestie e i laboratori di ricerca.
 

22

Persino la fede nella reincarnazione ha un fondo di verità, nonostante non si sia mai reincarnato nessuno: evoca infatti la continuità della natura umana attraverso i secoli, come non può fare l’idea di una vita che perennemente si rinnova.

Il fatto è che i giudizi di vero e di falso si fermano alla superficie. Sotto, tutto assume un altro significato. Goethe diceva “Non bisogna credere a tutto, ma non bisogna mancare di credere che tutto abbia un motivo”.
 

23

Cristianesimo, metempsicosi e consultazione dei tarocchi, interminabile processione di oracoli che enunciano la stessa verità. Gli itinerari attraverso cui ogni fede perlustra l’infinito sono i riflessi di un sogno comune, ed è in questo la loro autenticità. Dio non è solo un bottegaio che dispensa miracoli in cambio di preghiere, è anche mistero, e come tale bussa a tutte le porte.

Le tante dottrine disperse nel mondo si azzuffano non sapendo di equivalersi.

Cristo e la Sfinge sono tutt’uno, come tutt’uno sono gli innumerevoli simboli attorno a cui si raccolgono lo smarrimento e le certezze dell’uomo.
 

24

Non credo in Dio, ma neppure nell’ateismo dalle formule esatte che nega il limite oltre il quale la mente non arriva. Credo che tutto sia simbolo di qualcos’altro. Il pensiero costruisce ponti sull’ignoto, tanto più fragili quanto più pretendono di essere definitivi e di esaurire il pozzo della conoscenza. 

Si è più vicini all’essenza delle cose quando lo spirito rinuncia a misurarle e si contenta di vaghe risonanze. Perché le parole con cui evochiamo la Verità sono tocchi di pennello che danno all’indicibile una visibilità approssimativa; quando, affermando di sapere ciò che non sanno, non diventano semplici contraffazioni.
 

25

La preghiera è un dialogo con se stessi. Senza la preghiera e il miraggio di Dio che la risveglia, non è facile dare voce all’anima.
 

26 

La preghiera è anche un serrato confronto con l’oscura minaccia che ci contorna, come il rito primitivo del selvaggio che getta grani in un braciere: un incantesimo che mira ad addomesticare gli eventi, sottraendoli all’arbitrio del caso. Neppure sotto questo profilo merita comunque la spocchia degli spiriti illuminati, perché è vezzo comune contrapporre prodigi ai colpi del destino, anche senza lo schermo di una religione. Ogni uomo ha in effetti il suo amuleto, persino le nature razionali, che delle fredde architetture della mente tendono a fare un talismano proprio in quanto la rinuncia al soprannaturale mette a repentaglio il loro controllo sul mondo.
 

27 

Tollero i feticci degli altri perché so di quelli miei.

Le verità in cui si crede sono il riverbero della psiche, ciò che riduce ogni ricostruzione oggettiva della realtà a un tentativo velleitario, a un fatto marginale e intercambiabile. Neppure la mia verità sfugge a questo inganno, salvo che non rinnega la natura soggettiva della sua origine e non vanta un marchio di razionalità incontaminata.
 

28 

Il Dio venerato nelle chiese è un’immagine dell’uomo, purgata degli aspetti disdicevoli e impreziosita con una idealizzazione degli altri.
 

29 

È documentatissimo Rudolf Augstein nel suo Jesus Menschensohn (Gesù figlio dell’uomo). La storia di Cristo (meglio sarebbe dire la leggenda) tramandata dalla Chiesa è tessuta di favole, spesso così evidenti da lasciare sconcertati. C’è da chiedersi come sia mai stato possibile che milioni di persone le abbiano prese sul serio per un paio di millenni, accalcandovi intorno cattedrali e gerarchie, Papi e cerimonie, e un’infinità di curiosi rituali.

Eppure questo non rende la preghiera del cristiano meno affidabile dell’esercizio yoga, della consultazione dei Ching o della meditazione buddista: le vie dell’anima sono numerose e percorribili con identici risultati.
 

30

Chi non ha altra vista sull’infinito, vi si affaccia attraverso Dio. Ed è come quando, non avendo di meglio per esercitare l’intelligenza, ci si cimenta con i cruciverba.
 

31 

Sono religioso. Quindi ateo. Cerco la voce di Dio, non la sua parvenza.
 

32

Dio è cambiato. Una volta era un vecchio altero che scagliava fulmini e saette, la causa prima di fenomeni che col tempo hanno trovato spiegazione nelle scienze.

La domanda non è quindi se Dio esista, ma cosa esista oggi sotto il nome di Dio.
 

33

Dio esiste. È un fatto biologico che poco o nulla può contro il dolore e la morte. Un giorno se ne conosceranno la formula chimica e le intersezioni molecolari.
 

34

Interrogarsi sull’esistenza di Dio equivale a chiedersi, alla maniera di Platone, se esista quel che percepiamo, se in definitiva abbiamo calcolato bene cosa vi sia oltre il limite della nostra persona o se non siamo caduti in errore, per quanto Dio non sia un albero o un suono, ma un’entità che collochiamo a priori in una sfera inaccessibile ai nostri sensi.

Se infatti ogni figura della mente è il riflesso di un’esperienza manipolata dalle catene di neuroni e dalle energie che agiscono in noi, una mezza apparenza dunque, alla quale, nel gioco dei simboli che ci è caro, diamo un nome (se persino il vento e ogni fenomeno naturale, nell’idea che ce ne facciamo, è da questo punto di vista un artificio), allora porsi la questione se Dio esista o se esistano la vita ultraterrena o la metempsicosi, gli spettri e i fauni dei boschi, non è diverso dal domandarsi se siano reali le stelle e l’arcobaleno. Il problema non è se queste cose siano o meno delle illusioni, ma cosa vi sia dietro il loro scudo.
 

35

Dio non ha creato l’umanità, ma è un suo attributo. Se questa fosse una convinzione comune, sarebbe indebolita la competizione che di solito si scatena tra quanti vedono in Dio un principio esterno, pretendendo ciascuno di aver trovato il filo unico che riconduce a lui.
 

36

Si fa appello da ogni parte alla verità, fantasmagoria di richiami di profeti, predicatori e santi, schiamazzi di un’autentica babele. Ognuno ha la sua ricetta e offre su un piatto d’argento le chiavi del cielo. Ma le mille soluzioni apparecchiate portano ad un’identica meraviglia. Ci si scaglia contro a vicenda anatemi in nome di una investitura inesistente.
 

37 

Alzando il naso verso il cielo, affondando lo sguardo nel buio, avvertiamo il respiro del cosmo, che pulsa anche dentro di noi. Non sappiamo di preciso cosa sia quella profondità inaudita, né cosa la segua o cosa l’abbia preceduta, cosa la circondi e a cosa tenda, e se abbia senso raffigurarsi precedenze e successioni e scopi. In ciò consiste Dio: in una dimensione incomprensibile, vasta quanto il dubbio. E nella nostra appartenenza a questo spazio.
 

38

“E per voi son Dio

che esiste, si dice, soltanto

nell’atto di chi lo prega”

 

scrive Caproni con una formula esemplare.

È esattamente così: Dio esiste solo nell’atto di chi lo prega.
 

39 

Il Dio cristiano sferza l’invidia, castiga la gelosia, condanna i favori scambiati per un fine abietto, maledice la menzogna, la prepotenza e il calcolo.

Lo fa perché non sa dietro il volto del male quanta infelicità si nasconda.
 

40 

Miopia di Dio: nella mano che coglieva il frutto seppe vedere solo la disubbidienza, non la sofferenza di un desiderio inappagato.
 

41 

Sono un miscredente con pena e misericordia. Pena per chi teme il castigo divino e misericordia per le sue colpe. Perdona a te stesso, vorrei dirgli, comprendi le tue ragioni. E non rinunciarvi, se non hai nulla con cui rimpiazzarle. Il peccato nasce dalla privazione, quando non è solamente negli occhi di chi ti giudica, e dunque ne paghi il prezzo nel momento stesso in cui lo commetti; non hai bisogno della sferza.

Questo direi, perché so della sofferenza che c’era dietro il male che ho compiuto.
 

42 

Il male, nei recessi del nostro inconscio, è la rottura di un sistema di regole, il cui rispetto è condizione essenziale per essere accolti nella casa di tutti.

È sempre e solo l’occhio di Dio ad annotare la trasgressione sul taccuino delle colpe, anche quando ci si ritiene al riparo da influssi religiosi: Dio inteso come vincolo essenziale tra noi e gli altri, che consacra la nostra appartenenza a un ordine più alto della nostra persona, strappandoci a un’individualità deperibile e perciò impossibile da sostenere.

Questa misura suprema diviene così un’entità tiranna, ma nello stesso tempo garantisce la protezione del Nume o quanto meno salva dalla sua messa al bando.

L’offesa a Dio è un atto protervo di autonomia, che ci rende soli.
 

43

Povero Dio, ridotto a giudicare il bene e il male, l’estemporaneità delle condotte umane che non significano nulla oltre l’orizzonte dell’uomo.
 

44

Nel giorno del Giudizio, quando Dio alzerà il dito per annichilirmi, gli dirò di smetterla con le semplificazioni. Gli spiegherò che il male è solo ciò che un gruppo d’uomini cerca di  scongiurare, in una certa fase della sua storia e nel suo angolo di mondo: lo vedo dal cagnolino che tutti scacciano perché mette in pericolo i sacchetti della spazzatura e piscia sulle porte. La sua colpa è di mettere a repentaglio l’ordine condiviso: non fosse per il comodo altrui, la povera bestiolina sarebbe del tutto innocente.

Dio insisterà che il male è anche la rottura di un’armonia interiore e io gli darò ragione. Obietterò però che allora è prima di tutto sofferenza, che di tutto ha bisogno, meno che di una punizione.
 

45

La scienza moltiplica gli embrioni umani nella chimica di una provetta: da uno ne ottiene tre. E a qualcuno saltano i conti: all’atto del concepimento, Dio consegna al nascituro un’anima, e una sola; gli organismi clonati restano dunque senza? O riuscirà alla scienza il miracolo di replicare con la sostanza fisica anche quella spirituale? D’altra parte, cos’altro si dovrebbe pensare, se tra gli individui in copia e quelli originali non si dovesse notare la differenza?
 

46

La navicella spaziale americana è arrivata su Marte. Sull’onda dell’entusiasmo, si fa un gran parlare di forme di vita possibili sparse per l’universo, del contributo dell’acqua alla genesi cellulare e della morfologia delle creature cresciute eventualmente in ambienti gassosi.

Piccata da queste novità, la Chiesa scopre tra le ceneri delle Verità rivelate la cimice del dubbio. Se ci fossero focolai di vita intelligente nelle gole delle galassie, come la metteremmo col peccato originale? Gli alieni, a differenza nostra, hanno la coscienza immacolata? E Dio li alleva allora nei rispettivi Eden dove conducono in eterno esistenze beate o saranno stati banditi anche loro, piombati per un destino comune nelle spire tentacolari di un qualche demonio planetario? E quanti Cristi si saranno dovuti inviare negli angoli più remoti del cosmo per emendare gli innumerevoli scampoli di umanità traviata, le infinite specie cadute lungo le vie stellari nelle trappole del Maligno?

In simili dilemmi si potrebbe del resto incappare anche volgendo le spalle alle peripezie astrali, se mai si giungesse a riconoscere il baluginare di un’anima negli animali, creature magari perspicaci ma dalle qualità spirituali ancora incerte. Tra i caimani e le tigri –ci si dovrebbe infatti chiedere- mai nessun Adamo e mai nessuna Eva hanno tradito le consegne del Creatore? I macachi e i somari sono dunque migliori di noi? E, se lo sono, perché annaspano come noi nel regno della necessità e della morte?

Forse un Papa dovrà presto ridisegnare le mappe bibliche della redenzione e del peccato.
 

47

Volentieri mi convincerei che l’anima sopravvive al corpo, ma vedo che purtroppo basta assai meno della morte perché si inceppi. È sufficiente un neurone fuori uso, un grappolo di cellule cerebrali che si degrada, e già l’anima impallidisce, non ritrova i luoghi e le persone, si scioglie dalla memoria e langue, dimostrando la sua precarietà. Se poi l’anima non è qualcosa che osserva e che ricorda, che prova emozioni e che si esprime, sarà necessario spiegare cos’è, rivedendo l’idea di quel che di noi scampa alla fine.
 

48

Indubbiamente non siamo ancora in grado di enunciare la formula biologica dell’anima, che riporti con incontestabilità  scientifica i processi mentali a precise reazioni chimiche, campi elettrici e impulsi nervosi; possiamo ben dire però cosa resta dell’anima dopo la nostra consunzione: non la memoria, non la parola, non purtroppo gli affetti né il pensiero, non tutto quello che il semplice guasto di un capillare basta a disorientare per sempre.
 

49

Il nuovo parroco non manca di entusiasmo. Infervorato fino all’estasi, si è lanciato in una rivisitazione dei Vangeli. Pare che le epoche passate abbiano dato di Maria un’immagine troppo mite e rinunciataria. A spulciare bene nei sacri testi ci si accorge invece che era una giovinetta intraprendente…

Non si rende conto, il parroco, di vedere semplicemente quel che i tempi attuali vogliono si veda in una figura cara all’immaginario popolare e proprio perciò capace di cambiar pelle al bisogno. Dunque insiste. Sottolinea come Maria si sia data di testa sua al Signore, disobbedendo alla tradizione locale, che le avrebbe imposto di rimettersi al giudizio del capo famiglia. Sembra insomma che davanti a Dio, il quale si fosse presentato a chiederla in moglie, una ragazzetta di Giudea meno sicura del fatto suo avrebbe domandato il permesso a papà…
 

50

La Chiesa riabilita gli animali e, se proprio non riconosce loro un’anima, li associa almeno all’uomo nella corte dei viventi, là dove le diverse specie, dal moscerino a noi, persino forse quelle vegetali, levano canti all’Altissimo.

Rabbrividirebbe il Cardinale De Rohau, ambasciatore francese nella Vienna del XVIII secolo, che, pavoneggiandosi davanti a un seguito di signore, tutte ombrellini e pizzi, abbatté in un sol giorno 130 capi di selvaggina.

Ah, la Chiesa! Capace di adattare ai tempi con la massima disinvoltura il suo chissà se imperscrutabile ma certo flessibilissimo Dio.
 

51

Sua Santità ha condannato senza appello gli omosessuali e i loro tentativi di metter su famiglia, imitazione indegna e sconsacrata di una famiglia “normale”.

È che la Chiesa pretende di conoscere i disegni di Dio meglio di Dio stesso, e mentre il Creatore ha popolato la terra di un’umanità policroma, comprendendovi anche gli individui attratti dal loro stesso sesso, la morale cattolica decreta l’ostracismo di questa genia. Dio non discrimina tra i suoi figli e ha accolto nell’ordine naturale il solito e l’insolito, senza preclusioni. La Chiesa invece confonde ciò che è comune con ciò che è giusto, e organizza le sue crociate di conseguenza.

 

 

52

San Tommaso D’Aquino deduceva l’esistenza della perfezione, cioè di Dio, dall’evidenza dell’imperfezione, che si distribuisce in misura decrescente lungo una scala di cui non può mancare –sosteneva- l’ultimo gradino, quello nel quale ogni insufficienza è superata. Allo stesso modo, il logorio inevitabile delle cose gli suggeriva l’idea che non potesse mancare un Essere libero dal decadimento. Camminando a ritroso, risaliva insomma da ciò che vedeva a ciò che supponeva. Ed in realtà non dimostrava affatto che il perfetto e il perenne esistessero, ma solo che non poteva fare a meno di figurarseli. Il guaio è che i fili della logica si arrotolano nelle nostre menti, senza mai uscire da quel perimetro. Capita così che nella gabbia del pensiero razionale si scambi la nostra voce per quella di Dio.

 

 

53

Sul palco dell’Eliseo, Sandro Gindro[1] assume un tono tra il profetico e il moralista, mentre ammonisce che la vita sarebbe vuota senza un fondamento. E si intuisce che pensa a un fondamento sovrannaturale, perché la conversazione inclina decisamente da quel lato. A me dell’anticlericalismo giovanile è rimasta l’abitudine a drizzare il pelo quando sento squillare la fede in Dio. Sono disposto a fare concessioni per un Dio che di Dio non abbia nulla, altro che una vaga assonanza con la totalità, ma il Dio di Gindro sembra avere una stretta parentela con quello tradizionale. “Io posso dire che sono passati due minuti – si accalora Gindro - ma, nel momento in cui lo dico, si è già aggiunta un’altra frazione di tempo; qualunque cosa o concetto vi proviate a fermare, scoprirete di essere sempre un passo indietro; tutto ciò che il nostro essere conosce è inesorabilmente finito, finito, finito”. Questo renderebbe povera la conoscenza, che può raggiungere la compiutezza solo ammettendo un’entità in grado di sfuggire alle definizioni.

Ma le reti vuote della conoscenza, incapaci di afferrare la realtà per intero, restano tali anche a immaginare una verità sopra le righe. E del resto è solo l’intelletto che non riesce a misurare il tempo o a stabilire a che punto è il tramonto del sole o un litigio tra innamorati, a infilare insomma il divenire in una botte. La semplice esistenza ci riesce benissimo. La conoscenza che è sempre un passo indietro alle sue prede, buona a stringere in pugno soltanto ciò che si è ormai esaurito, è quella della ragione. Ma anche l’emozione, la vista ed il respiro sono fonti di conoscenza e non risentono dei ritardi del pensiero. La vita ha tutto ciò che occorre per allinearsi al presente, solo la mente arranca. Heidegger si è dannato l’anima per decifrare l’inafferrabilità del tutto e Dilthey per conciliare esistenza e conoscenza, ma tanti affanni si spiegano con l’angoscia che si prova davanti all’incompletezza della ragione, a quel bicchiere che non è mai pieno. Nascono lì gli spasmi della filosofia. Per alzare un bicchiere colmo fino all’orlo basta metterla da parte la filosofia, e saltare in groppa alla vita, imboccando ad esempio i sentieri più labili, ma sicuramente in sincronia con il fluire del tempo, della poesia.
 

54

Un prete non è diverso dagli altri, sia che si dedichi a comunioni e santi con la praticità riservata da un laico agli affari o a ricercare amicizie fruttuose, sia che svolga il suo ministero col fervore altrove chiamato passione.
 

55

“ La sua metafisica…”, si sente dire.

Difficile rendersi conto di cosa sia una metafisica, se si è propensi a credere che tutto si risolve nella fisica.

Ma quando io penso alla catena di generazioni che si allunga nello sgocciolio dei secoli, e questa visione mi abbaglia trasmettendomi un senso particolare della vita, e della morte, non cado forse in braccio alla metafisica? Cos’è infatti una metafisica se non un insieme di miraggi che danno sapore alla realtà e la circondano di un determinato alone suggerendo l’idea di quel che siamo e di quello a cui siamo destinati?

Questi fasci di luce, alti sulle nostre teste, fanno parte anch’essi dell’universo fisico, hanno però di speciale il fatto di appartenere solo a chi li ha in mente, salvo ad essere condivisi da più persone e a formare a volte lo spirito del tempo in cui viviamo.

Sono le muse dei poeti e le finestre da cui ognuno si affaccia, le concezioni del mondo. Questo e non altro sono le metafisiche.
 

56 

Negli esseri viventi stupisce la coscienza, cioè la cognizione che il loro organismo, costituito di materia, acquisisce di se stesso e dell’altra materia circostante, ciò che rappresenta uno dei motivi per i quali si suppone che nei corpi si nasconda anche una sostanza di tutt’altra natura.

Ma forse lo stupore deriva solamente dall’idea sbagliata che si ha della materia, come di un aggregato inerte.
 

57

La Patristica ripulisce Dio da ogni possibile difetto, per farne una somma di virtù, o quanto meno di quelle che a suo modo di vedere sono tali. Di questo passo, di Dio può non restare nulla. Non c’è infatti una sola qualità che non sia anche una limitazione e non si traduca quindi in zavorra per un Essere perfetto.
 

58

Secondo Tommaso d’Aquino, la fede supera le capacità della ragione, ma, poiché l’una e l’altra provengono da Dio, non possono portare a risultati divergenti. Sempre che la ragione righi dritto.

Davanti a tanta ingenuità, si può sorridere. Intese in modo più flessibile, le convinzioni di Tommaso ci ricordano però come una ragione separata dal ritmo del sangue e dai barlumi della psiche ci allontani da noi, e come solo una razionalità che assecondi le verità del cuore possa essere fonte di autentiche certezze.

Le conquiste dell’intelletto e quelle dell’anima non si congiungeranno insomma in una sfera sovrannaturale, ma in quella naturale è bene che procedano appaiate.
 

59

Cosa c’era prima della creazione? Come i bambini, anche i filosofi fanno domande immaginifiche e si danno immaginifiche risposte. Per Guitton, prima della creazione c’era la “simmetria perfetta”.

La “simmetria perfetta” è per lui come per i Padri della Chiesa l’antitesi di ciò che è. O meglio di ciò che diviene. Tutto quello che ha un volto, un tempo, una storia, sa di limite e di imperfezione. È imperfetta la materia, imperfetta la dimensione, la figura circoscritta, quel che si realizza e non può essere diverso da così. Perfetto è il resto, Dio, ciò che non diviene. Ciò – si potrebbe dire con malizia - che non è.
 

60

La stessa fiducia che Tommaso d’Aquino riponeva nella ragione, Guitton la riversa nella scienza, che, a suo dire, non solo non allontanerebbe dal divino, ma ne attesterebbe l’esistenza. La scienza rivelerebbe infatti i capillari di infinite leggi sotto la cute della natura, ricostruendo la rete di un ordine esemplare, l’equivalente di un’intelligenza, a dimostrazione di come sia questa a regnare sull’universo e non il caso.

La prima cosa che viene da pensare è che Dio non sarebbe un interlocutore particolarmente valido se si riducesse a una semplice geometria, risultando in questa veste quanto meno poco adatto a riscuotere omaggi e preghiere.

La seconda obiezione è che l’arte inimitabile del Principio regolatore, quello che fa girare il cosmo, è tale unicamente per tautologia. La traiettoria perfetta del creato è infatti solo la traccia che il mondo lascia dietro di sé; se il percorso fosse stato diverso, sarebbe parso altrettanto illuminato. La forza di gravità che tira i corpi verso il basso può apparire come il frutto di una volontà che si impone al caso; ma, se avesse risucchiato i corpi verso l’alto, avremmo potuto scorgervi comunque l’impronta di un disegno divino.

Meravigliarsi che tutto fili in armonia centrando i suoi obiettivi è come sbalordirsi di aver fatto un passo da qui a là e non un po’ più a destra o un po’ più avanti o come restare a bocca aperta davanti alle premure con cui la natura consente a tante specie animali di sopravvivere, dimenticando la disgrazia di quelle che la selezione spazza via.

Guitton paragona l’esattezza con cui l’universo esegue i suoi esercizi a quella che dovrebbe avere sulla terra un giocatore di golf per spedire una pallina in una buchetta su Marte, e ne deduce l’altissima probabilità se non la certezza che un essere superiore abbia sistemato le cose in modo che il miracolo si compia. Ma, se la pallina fosse schizzata su Venere, ugualmente ci sarebbe stato qualcuno pronto a giurare che dovesse finire proprio lì e a chiedersi quindi come ciò sia potuto avvenire.

Le rondini, in definitiva, non hanno artigli forti per tenersi sui cavi elettrici, come suppone Guitton, ma si tengono sui cavi elettrici perché hanno artigli forti. Le leggi esistono, ma non sono provvidenziali. Avrebbero potuto essere altre e, soprattutto, non potrebbero mancare, perché un mondo senza leggi semplicemente non è: le cose devono essere in un “certo” modo, ed è questa l’unica legge irrinunciabile, quella da cui si generano tutte le altre, la sola condizione che l’universo deve osservare per poter essere, per poter essere almeno concretamente e non nella maniera astratta della divinità che, per apparire inappuntabile da ogni lato, diventa tutto e il contrario di tutto, ovverosia niente. È sempre e solo il fatto di essere, il miracolo per il quale non si hanno spiegazioni.

La natura non obbedisce al caso, questo è vero: è governata da un’intelligenza. È l’intelligenza però frutto del caso, e questo è il grande smacco di un pensiero finalista come quello di Guitton.

L’ordine che comanda il cosmo è uno schema interpretativo prima che un dato oggettivo. Guardiamo il cielo e vediamo astri disposti a triangolo, bilance e acquari. Ma il triangolo e tutto il resto sono dentro e non sopra la nostra testa. Siamo noi che stabiliamo relazioni proiettando nel mondo il riflesso della nostra anima.

Il meccanismo perfetto che regola la natura è prima di tutto lo specchio della nostra intelligenza. L’intelligenza che regge l’universo è cioè essenzialmente la nostra. Lo ricorda la teoria dei quanti quando afferma che il mondo si determina all’ultimo istante, quello dell’osservazione, e che, prima di allora, nulla è reale in senso stretto.
 

 61

La creazione è la morte di Dio, l’attimo in cui la simmetria si spezza e l’infinito diventa finito, frastagliandosi in un mosaico di dettagli. La creazione è la morte di Dio. Non la testimonianza della sua esistenza.
 

62

In quale scatola è chiuso l’universo, e questa in quale altra è riposta? E prima del primo grano di materia cosa c’era?

Queste domande non mi avvicinano a Dio. Mi invischiano nella mia limitatezza.
 

63 

Ogni individuo è una visione del mondo, è lo sguardo che misura l’orizzonte e l’orizzonte misurato. Ci sono tanti universi quanti sono gli uomini che abitano la terra, universi che nascono e muoiono con noi. E lo stesso accade per gli animali, per le piante e per le pietre persino, in quel vuoto estremo di coscienza che è la loro staticità, dove la coincidenza tra l’entità che percepisce e quella percepita si posiziona sullo zero.

Perciò non c’è chi possa immaginare un mondo che prescinda da lui stesso, concepire la sua propria assenza.

Gli altri organismi esprimono il bisogno di esserci mobilitando ogni fibra del proprio essere, ogni energia, contro i pericoli che li minacciano, contro la possibilità della scomparsa.

A noi non basta; per scongiurare l’eclisse dobbiamo riconoscerci in un’entità più vasta - Dio, Natura, Cosmo, Ciclo naturale o quel che sia - che ci trascenda e in qualche maniera ci assimili e conservi, inattaccabili alla morte, al di là di noi.
 

64

Sono stati gli  uomini a rivelarmi la parola di Dio, ma era la loro parola, che io ero libero di prendere o lasciare.
 

65 

Vate:

- Nulla finisce e nulla finirà, neanche il volo di una mosca passa inosservato sulla tela del mondo, tutto quel che accade lascia una traccia e fa sì che il disegno universale sia quello che è in ogni momento. Siamo immortali per l’impronta che lasciamo, iscritti in un cerchio che trascende il nostro tempo e la nostra dimensione e ci proietta nell’eterno. Questa è la verità, che passa inosservata quando la cerchiamo ad occhi aperti, ma, chiudendo gli occhi e sospendendo i sensi, ci sciogliamo dall’illusione della realtà sensibile e dietro le palpebre scopriamo l’infinito, al confine della coscienza, molto prossimo a noi, non in un concetto lontano ed astratto.

Scettico:

- Siamo linee del disegno universale, o meglio punti nell’immensità della sua trama, ma lo spazio infinito che annota il mio passaggio in che modo assiste agli affanni che accumulo lungo le mie strade, quelle su cui io mangio, bevo, respiro ed amo?   

Chiudendo gli occhi e sospendendo i sensi, trovo ad attendermi le mie domande, che precipitano nella voragine del tutto, e il tutto mi macina e mi dimentica, facendo di me un essere unico e finito, immortale, certo, ma solo nel silenzio del mio oblio, con umiltà, e non in un trionfo d’angeli.

 

 

VERSI BLASFEMI

 

FEDE IN DIO

 

Non saprei dire se nel grande mondo

c’è per davvero chi non crede in Dio.

No, non il totem che pretende omaggi

al centro dei villaggi o nelle chiese

chi il Dovere invece o l’Altruismo

e per altri il Progresso o la Ragione.

Chi l’entusiasmo per la propria sorte

chi il senso di infinita piccolezza.

Forse rimedio al nostro sfacimento:

il sé che spazia a espandersi nel tutto.

Non saprei dire se nel grande mondo

c’è per davvero chi non crede in Dio.

 

LA PAZIENZA DI GIOBBE

Puntando avanti l’indice onnisciente

il Padre Eterno svelse un occhio a Giobbe

e Giobbe rese grazie al suo Signore

che gli serbava in fondo ancora il dono

di contemplare con un occhio il volo

delle farfalle i cieli il sole e l’acque

e di godere la vista del creato

diletto il quale non a tutti è dato.
 

E Iddio cavò l’occhio restante a Giobbe

che prostratosi a terra Lo onorò

perché nel buio le sue mani ancora

alitare potevano all’intorno

sui visi negli spazi e sulle cose

restituendo al mondo il suo contorno.
 

Ed il Signore mozzò le mani a Giobbe

il quale  tuttavia Lo riverì

giacché possente in petto era la voce

questa corda del cuore che è preziosa

per cantare le lodi dell’Altissimo


Ed il Signore spinse uno stecchetto

in verticale a Giobbe tra la lingua

ed il palato e con le fauci aperte

gesticolando e mugolando Giobbe

fece capire a Iddio d’essergli grato

poiché più care assai della parola

gli eran le gambe che portando in tondo

nel mondo la sua piena remissione

al Dio dei Cieli davano ragione

della Sua gloria anche nel dolore.
 

Ed il Signore troncò le gambe a Giobbe

che rimase perplesso a meditare

se seguitare o meno a ringraziare.

  

DIO INAMOROSO

Dio impietoso

che schianti per l’eterno

e sventurato un angelo borioso

costringi ad una acredine animale

e gli chiudi le porte

o Tu Dio iroso

dimentiche di Te giri nel fuoco

le anime fra tutte più dolenti

già sotto il sole

quando svuotate

si avvolsero nel vuoto

Dio inamoroso.

 

DIRITTO D'ASILO

Prendi nota allora

Dio degli abissi

di questa oscura larva che protesta

la sua innocenza di bitume e orgoglio.

La tua scia imperversa: gloria

nelle bocche dei santi

pacificati in te.

Io testimonio solo l'indelebile assenza

il gesto impoverito della mano

l'ardua scienza dei rami

che al cielo si rialzano insecchiti.

 

IL CAFFÈ  A LETTO

Padre mio

che sei nei cieli

dammi oggi il pane quotidiano

liberami dal male

abbi cura di me

nel modo migliore;

e domattina

portami il caffè a letto.


 

LA DOTTRINA


Che Gesù Cristo sia Figlio di Dio

siatene certi perché sta scritto

a chiare lettere negli Evangeli

i sacri testi che il Verbo si è dato.

E che lì sopra versetto a versetto

si sia raccolta la Voce divina

siatene certi perché l’ha detto

niente di meno che Sua Santità

parlando ex cathedra là dove è noto

gode dell’infallibilità.

E che parlando da quello scanno

il Santo Padre non perda un colpo

non si discute da quando ha inteso

renderne edotto lui stesso il mondo

quale Vicario di Cristo cioè

quale facente funzioni di quello

che del Supremo Signore è il Figlio

come assodato due righe più su.
 

Molto più seria è l’altra vicenda

che imbarazza la Dottrina

era una storia talmente semplice

quando lasciò la Palestina:

era iniziata con un solo Dio

e ne contiamo adesso tre!

Salvo a concludere che malgrado

questa abbondanza di Persone

Dio resta sempre Uno e Solo

così è risolta la questione.


Dunque affrontando ben altri rovelli

se Dio è perfetto e non ha corpo

è fuor di dubbio non ha ubicazione

e in ogni caso si trova dovunque

inoltre essendo Infinito Bene

non può avere creato il male

cosicché il male non esiste

ma è solamente. . . assenza di bene!
 

Fatto risolto passiamo ad altro

Maria era vergine Giuseppe Santo

e a questo punto la Dottrina

è pronta ad essere messa in vetrina

e se il pignolo di turno obietta

che lascia ancora a desiderare

ribatteremo che non può

non può pretendere di ragionare

su cose che son chiaramente divine

con considerazioni. . . umane! 

 

CHIERICI

Con le mani di scimmia

sotto gli abiti grigi

che presumono un'altra dignità.

 

LA GLORIA E GLI STRACCI

Il terzo giorno risuscitò da morte

salutò a destra e a manca i compagni di viaggio

consegnati all'Ade

e si volse alla chiarezza del giorno

che scavalcava i monti.

Il fiume alle pietre degli argini

snidava aghi di luce

a fondo si inseguiva per i vicoli

l’ululato dei cani

e alle donne ricurve nel segreto degli scialli

urgeva la fatica delle polpose giare.

Lui segnava una scia iridescente

sulla pena e il lavoro degli uomini:

un bimbo si scalfì il ginocchio

mentre saliva al Padre.

  

CALCOLO DELL'ULTIM'ORA: L'UNIVERSO ESISTE  DA 18 MILIARDI DI ANNI.

Non c'è così che iscriversi

in un solco;

nel gorgo che s'evolve,

in una ruga.

 

OMAR

(rassegna imperfetta degli attributi della divinità)

Leva il tridente

bestia smisurata

Omar!

che il polline dei giorni

mesci e rovesci nel braccio di clessidra

impugna la saetta

scuotendo il vello immenso di caprone

e intriga

questo avanzare infimo di cose

con accenti di padre

e di padrone.

Laceri l'orizzonte

la Tua Grazia molesta.

Tu rimpinguato dai nostri terrori

pasci

Unicorno dorato

questo gregge allo sbando

somma

nella tempesta irosa della barba

ogni nostro dolore.


 

[1] Psicanalista, compositore e drammaturgo, è stato il fondatore nel 1975 di Psicoanalisicontro, centro clinico-medico-psicologico, casa editrice e associazione culturale, che ha diretto fino alla morte sviluppando un suo percorso autonomo all’interno della psicanalisi freudiana (1935 – 2002). L’episodio del brano si riferisce ad un incontro organizzato da Gindro a Roma, al Teatro Eliseo, sul finire degli anni ‘80. 

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1 - Paolo di Tarso - Prima lettera a Timoteo

 

Paolo, apostolo di Cristo Gesù, per comando di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, a Timòteo, mio vero figlio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro.

Partendo per la Macedonia, ti raccomandai di rimanere in Èfeso, perché tu invitassi alcuni a non insegnare dottrine diverse e a non badare più a favole e a genealogie interminabili, che servono più a vane discussioni che al disegno divino manifestato nella fede. Il fine di questo richiamo è però la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. Proprio deviando da questa linea, alcuni si sono volti a fatue verbosità, pretendendo di essere dottori della legge mentre non capiscono né quello che dicono, né alcuna di quelle cose che dànno per sicure.

Certo, noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne usa legalmente; sono convinto che la legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini, i fornicatori, i pervertiti, i trafficanti di uomini, i falsi, gli spergiuri e per ogni altra cosa che è contraria alla sana dottrina, secondo il vangelo della gloria del beato Dio che mi è stato affidato.

Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al mistero: io che per l'innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.

Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.

Al Re dei secoli incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Questo è l'avvertimento che ti do, figlio mio Timòteo, in accordo con le profezie che sono state fatte a tuo riguardo, perché, fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l'hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede; tra essi Imenèo e Alessandro, che ho consegnato a satana perché imparino a non più bestemmiare.

 

Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità. Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l'ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto banditore e apostolo - dico la verità, non mentisco -, maestro dei pagani nella fede e nella verità.

Voglio dunque che gli uomini preghino, dovunque si trovino, alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese.

Alla stessa maniera facciano le donne, con abiti decenti, adornandosi di pudore e riservatezza, non di trecce e ornamenti d'oro, di perle o di vesti sontuose, ma di opere buone, come conviene a donne che fanno professione di pietà.

La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all'uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia.

 

È degno di fede quanto vi dico: se uno aspira all'episcopato, desidera un nobile lavoro. Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Inoltre non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna del diavolo. È necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo.

Allo stesso modo i diaconi siano dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti al molto vino né avidi di guadagno disonesto, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. Perciò siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio. Allo stesso modo le donne siano dignitose, non pettegole, sobrie, fedeli in tutto. I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie. Coloro infatti che avranno ben servito, si acquisteranno un grado onorifico e una grande sicurezza nella fede in Cristo Gesù.

Ti scrivo tutto questo, nella speranza di venire presto da te; ma se dovessi tardare, voglio che tu sappia come comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità. Dobbiamo confessare che grande è il mistero della pietà:

Egli si manifestò nella carne,
fu giustificato nello Spirito,
apparve agli angeli,
fu annunziato ai pagani,
fu creduto nel mondo,
fu assunto nella gloria.

 

Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche, sedotti dall'ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza. Costoro vieteranno il matrimonio, imporranno di astenersi da alcuni cibi che Dio ha creato per essere mangiati con rendimento di grazie dai fedeli e da quanti conoscono la verità. Infatti tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie, perché esso viene santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera.

Proponendo queste cose ai fratelli sarai un buon ministro di Cristo Gesù, nutrito come sei dalle parole della fede e della buona dottrina che hai seguito. Rifiuta invece le favole profane, roba da vecchierelle.

Esèrcitati nella pietà, perché l'esercizio fisico è utile a poco, mentre la pietà è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita presente come di quella futura. Certo questa parola è degna di fede. Noi infatti ci affatichiamo e combattiamo perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono. Questo tu devi proclamare e insegnare.

Nessuno disprezzi la tua giovane età, ma sii esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza. Fino al mio arrivo, dèdicati alla lettura, all'esortazione e all'insegnamento. Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato conferito, per indicazioni di profeti, con l'imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri. Abbi premura di queste cose, dèdicati ad esse interamente perché tutti vedano il tuo progresso. Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: così facendo salverai te stesso e coloro che ti ascoltano.

 

Non essere aspro nel riprendere un anziano, ma esortalo come fosse tuo padre; i più giovani come fratelli; le donne anziane come madri e le più giovani come sorelle, in tutta purezza.

Onora le vedove, quelle che sono veramente vedove; ma se una vedova ha figli o nipoti, questi imparino prima a praticare la pietà verso quelli della propria famiglia e a rendere il contraccambio ai loro genitori, poiché è gradito a Dio. Quella poi veramente vedova e che sia rimasta sola, ha riposto la speranza in Dio e si consacra all'orazione e alla preghiera giorno e notte; al contrario quella che si dà ai piaceri, anche se vive, è già morta. Proprio questo raccomanda, perché siano irreprensibili. Se poi qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele.

Una vedova sia iscritta nel catalogo delle vedove quando abbia non meno di sessant'anni, sia andata sposa una sola volta, abbia la testimonianza di opere buone: abbia cioè allevato figli, praticato l'ospitalità, lavato i piedi ai santi, sia venuta in soccorso agli afflitti, abbia esercitato ogni opera di bene. Le vedove più giovani non accettarle perché, non appena vengono prese da desideri indegni di Cristo, vogliono sposarsi di nuovo e si attirano così un giudizio di condanna per aver trascurato la loro prima fede. Inoltre, trovandosi senza far niente, imparano a girare qua e là per le case e sono non soltanto oziose, ma pettegole e curiose, parlando di ciò che non conviene. Desidero quindi che le più giovani si risposino, abbiano figli, governino la loro casa, per non dare all'avversario nessun motivo di biasimo. Già alcune purtroppo si sono sviate dietro a satana.

Se qualche donna credente ha con sé delle vedove, provveda lei a loro e non ricada il peso sulla Chiesa, perché questa possa così venire incontro a quelle che sono veramente vedove.

I presbiteri che esercitano bene la presidenza siano trattati con doppio onore, soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento. Dice infatti la Scrittura: Non metterai la museruola al bue che trebbia e: Il lavoratore ha diritto al suo salario. Non accettare accuse contro un presbitero senza la deposizione di due o tre testimoni. Quelli poi che risultino colpevoli riprendili alla presenza di tutti, perché anche gli altri ne abbiano timore. Ti scongiuro davanti a Dio, a Cristo Gesù e agli angeli eletti, di osservare queste norme con imparzialità e di non far mai nulla per favoritismo. Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non farti complice dei peccati altrui. Conservati puro!

Smetti di bere soltanto acqua, ma fa' uso di un po' di vino a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni.

Di alcuni uomini i peccati si manifestano prima del giudizio e di altri dopo; così anche le opere buone vengono alla luce e quelle stesse che non sono tali non possono rimanere nascoste.

 

Quelli che si trovano sotto il giogo della schiavitù, trattino con ogni rispetto i loro padroni, perché non vengano bestemmiati il nome di Dio e la dottrina. Quelli poi che hanno padroni credenti, non manchino loro di riguardo perché sono fratelli, ma li servano ancora meglio, proprio perché sono credenti e amati coloro che ricevono i loro servizi.

Questo devi insegnare e raccomandare.

Se qualcuno insegna diversamente e non segue le sane parole del Signore nostro Gesù Cristo e la dottrina secondo la pietà, costui è accecato dall'orgoglio, non comprende nulla ed è preso dalla febbre di cavilli e di questioni oziose. Da ciò nascono le invidie, i litigi, le maldicenze, i sospetti cattivi, i conflitti di uomini corrotti nella mente e privi della verità, che considerano la pietà come fonte di guadagno.

Certo, la pietà è un grande guadagno, congiunta però a moderazione! Infatti non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portarne via. Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, contentiamoci di questo. Al contrario coloro che vogliono arricchire, cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste, che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L'attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori.

Ma tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.

Al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose e di Gesù Cristo che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo,

che al tempo stabilito sarà a noi rivelata
dal beato e unico sovrano,
il re dei regnanti e signore dei signori,
il solo che possiede l'immortalità,
che abita una luce inaccessibile;
che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere.
A lui onore e potenza per sempre. Amen.

Ai ricchi in questo mondo raccomanda di non essere orgogliosi, di non riporre la speranza sull'incertezza delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché ne possiamo godere; di fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di essere generosi, mettendosi così da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera.

O Timòteo, custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza, professando la quale taluni hanno deviato dalla fede.

La grazia sia con voi!

 

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